LA MAGA MAGO' DI QUESTO PICCOLO RACCONTO NON E' UN PERSONAGGIO DI FANTASIA, MA E' UNA CANCELLIERA CHE ANCOR OGGI REGOLARMENTE PRESTA LA SUA INSOSTITUIBILE OPERA PRESSO IL TRIBUNALE DI GENOVA.
COME VEDRETE LEGGENDO IL RACCONTO NON C'E' UN SOLO ELEMENTO OGGETTIVO CHE CONSENTA DI INDIVIDUARLA, E LO STESSO SOPRANNOME CHE LE HO DATO (MAGA MAGO') L'HO INENTATO IO SUL MOMENTO, MA IN REALTA' MAI ERA STATA DA ALCUNO SOPRANNOMINATA IN QUEL MODO.
EPPURE, DOPO CHE AVEVO PUBBLICATO L'ARTICOLO SU "OTTOPAGINE" NON C'E STATO UN SOLO AVVOCATO CHE NON ABBIA INDIVIDUATO LA PERSONA.
CHISSA' COME MAI
SOGNO DI UNA NOTTE DI TARDA PRIMAVERA
Non avevo capito se Maga Magò stava appollaiata sulla sedia o stravaccata sulla scrivania, la vedevo raggomitolata sul telefono, ma le sue forme informi e il bancone tra noi mi impedivano di distinguere esattamente la sua posizione, pur percependone comunque l’irritante e sguaiata scompostezza.
La sua voce chiocciava su ricami di frasi svuotate di ogni reale significato, che sembravano prese a prestito da una telenovelas di infimo livello:
“Perché, vedi, con certe persone non si può sperare che capiscano da sole, e quindi tu devi dirglielo che così non può continuare…”
La mia presenza non aveva più neppure la rilevanza necessaria per infastidirla: mi sentivo come una immaginetta di Padre Pio in casa di Stalin.
“Ah, io non lo so cosa vuole, quella, ma mi è bastato vedere come mi guardava, che poi gli ho detto, guarda che è inutile che poi tu ti vieni a lamentare…”
Ogni mio tentativo di interrompere la conversazione telefonica, per chiedere il fascicolo, più che inutile, era semplicemente patetico, e dopo un quarto d’ora mi trovavo combattuto tra la rabbia più feroce ed una profonda quanto affettuosa commiserazione per me stesso.
Ad un tratto accade l’irrealizzabile: vedo un’enorme e trasparentissima campana di vetro scendere lentamente e silenziosamente sulla testa di Maga Magò, la quale non sembra neppure accorgersi dell’incredibile fenomeno che si sta verificando, e continua imperterrita la sua petulante telefonata.
Con un imponente “plonk” la gigantesca campana si chiude sull’arpia e la stanza è pervasa da un silenzio solenne e vivificante, nel quale vedo Maga Magò che continua imperterrita la sua telefonata, ormai muta; poi sento un sommesso ronzio e Maga Magò sparisce insieme alla campana: ora il locale è magicamente vuoto e il mondo liberato dalla sua pesantissima presenza.
Un senso di gioioso sollievo dolcemente mi pervade, e ad un tratto mi sembra di comprendere il vero significato della vita, il fine ultimo dell’esistenza dell’universo, e il perché noi Genoani siamo destinati sempre a soffrire così.
Il mio corpo segue la mia anima nella improvvisa e conquistata levità, e mi accorgo che l’immenso senso di beatitudine che mi ha pervaso, mi fa fluttuare a circa due metri da terra, mentre volo, colmo di felicità, per tutta la cancelleria, disegnando nell’aria dolci cerchi e sinuose traiettorie ad “otto”, con le braccia aperte ad aeroplano.
Il risveglio è brusco e cattivo, come solo i risvegli dai sogni possono esserlo: una involontaria cartellata in faccia da parte di un mio collega mi aveva dolorosamente ricondotto a coscienza e realtà mentre mi ero addormentato seduto su una panca davanti alla porta di una cancelleria, mentre aspettavo il mio turno per entrare.
Si sa, noi avvocati, per non disturbare, dobbiamo entrare uno alla volta.
Disma Vittorio Cerruti