Il Diritto e il rovescio, più che altro...
Il Diritto e  il  rovescio, più che altro...

LA CATTIVERIA

Nelle piccole cose spesso trovi il sommo bene o la più gratuita e quindi perversa malvagità.

 

 

COMUNE DI GENOVA ?

Era una sconfortante mattinata di fine Novembre, di quelle mattinate che neppure la tua solitudine ti tiene compagnia, e l’intero universo ti sembra peggio di un viaggio in corriera sui vecchi tornanti del Passo del Turchino quando soffri di mal d’auto.

Per di più  era pure un Sabato mattino, cioè il giorno che di solito vado in studio, stacco il telefono e mi dedico ai casi meno facili, quelli che necessitano di un attimo di attenzione, e soprattutto, di riflessione, perché, almeno per me, le idee non sono mai state come le lampadine di Archimede, che si accendono improvvise  schiarendo le tenebre dell’ignoranza. Per la parte dolente dell’umanità di cui anche io faccio parte, esclusa dal dono della genialità, l’idea è come un parto podalico, lungo, doloroso ed estenuante. L’idea stenta ad uscire a causa delle ristrettezze della mia mente, e se e quando esce, il processo è molto doloroso e necessita di grande e sofferta  concentrazione: e quindi a tali operazioni dedico il Sabato mattino (qualche volta anche il Sabato pomeriggio e la domenica).

Ma sto divagando: quel Sabato mattina, contrariamente al solito, dovevo recarmi in udienza dal Giudice di Pace per discutere  un ricorso contro quattro contravvenzioni inflitte  ad una mia cliente, anzi al dire il vero non è del tutto esatto dire che fosse una mia cliente, meglio definirla come una persona a me cara che era stata vittima di una telecamera del comune di Genova che l’aveva sorpresa con la ruota del proprio motociclo all’interno, per pochi centimetri, alla striscia gialla riservata ai Bus.

Una controversia banale, anzi, a dire il vero, banalissima, del tutto  ordinaria, se non fosse che, per questioni che non posso e non voglio rivelare, per il “multato” il dover pagare la contravvenzione sarebbe stato un problema non di poco conto, anzi …

Entrato in aula, spiego al giudice sia le mie ragioni di diritto, per le quali avevo proposto l’opposizione, ma mi soffermo anche sulla particolare circostanza che il pagamento di una multa dell’importo complessivo di oltre 300 euro sarebbe stata oltremodo gravosa (per usare termini eufemistici) per la parte che assistevo.

La circostanza era vera, non tanto in forza delle mie asserzioni che, per la mia qualità di avvocato, potevano essere anche legittimamente messe in dubbio, ma per la stessa impugnazione della contravvenzioni, che doveva necessariamente essere fatta gratuitamente, ché altrimenti la spesa di difesa sarebbe stata quantomeno uguale se non superiore alla sanzione stessa.

La mia controparte era un funzionario del comune, del quale, fortunatamente, neppure ricordo più il nome e neppure, ancora più fortunatamente, la faccia.  Eppure, il suo volto non mi sembrava neppure particolarmente maligno, altrimenti mi sarebbe rimasto impresso.

Di lui ricordo solo il fatto che al Giudice, che lo aveva chiamato “Ispettore”, aveva voluto precisare che lui  aveva il grado di  “Commissario” che era un grado superiore a  quello di Ispettore. Ricordo anche che aveva difeso la posizione del Comune con un puntiglio tanto rigoroso, che sarebbe stato encomiabile, se non fosse stato, appunto, solo puntiglio e che il puntiglio, almeno per il mio modo di vedere le cose, non è mai encomiabile.

E fin qui, nulla di speciale, nulla di più che non fosse la doverosa commedia delle parti  che ogni processo inevitabilmente comporta.

Al termine della discussione, a dire il vero neppure troppo “calda”  e condotta con toni senz’altro pacati, il Giudice emette il verdetto, leggendo il dispositivo: per me una piccola e sia pur parzialissima vittoria, perché il Giudice non accoglie il mio ricorso, ma ritiene comunque opportuno ridurre l’importo di ciascuna contravvenzione, riducendo così di una ottantina di euro l’importo che la parte da me assistita avrebbe dovuto pagare.

Ora, deve sapere il lettore, per comprendere il senso del racconto, che uno dei pochi tabù rispettati da tutti gli avvocati, -anche i più indisciplinati e irruenti, ai quali senz’altro io appartengo – è costituito dall’ evitare accuratamente di fare qualsiasi commento, - negativo o positivo che sia – dopo che il Giudice ha letto la Sentenza e, come si dice in gergo giuridico, “si è spogliato della causa”.

Invece il solerte commissario del comune, appena dopo che il Giudice aveva letto il dispositivo, ha incominciato a protestare, sostenendo che la riduzione della multa fatta dalla Sentenza, era assolutamente errata, e che la decisione era ingiusta perché riduceva la contravvenzione oltre i limiti edittali e l’importo determinato era troppo esiguo: chiunque poteva accorgersi  che tali “proteste” erano chiaramente rivolte a convincere il Giudice a mutare la sua decisione, cioè un intento che oltre ad essere materialmente impossibile, rilevava un atteggiamento della mia controparte che ancora adesso non comprendo se fosse ispirata dall’ingenuità o dall’arroganza.

 Il tono del “Commissario” (non vorrei offenderlo chiamandolo ispettore)  era tra l’indignazione e lo sconcerto, ma ancor di più mi stupì   la sua acredine e la sua rabbia, quasi che la Sentenza, oltre a ridurre le multe avesse ridotto anche il suo stipendio.

Poi come brevissimi flash, apparvero nella mia ormai sconcertata mente, l’immagine della difficilissima situazione che stava passando la persona che assistevo, e poi  l’immagine di questo omino che sbraita e si agita, persino dopo la Sentenza del Giudice, il tutto  per ottenere 80 euro in più per il nostro meritevolissimo  comune, anche a costo di  danneggiare gravemente chi, senza colpa alcuna, si trova in difficoltà.

Facendo l’avvocato da oltre 30 anni, avrei dovuto fare da molto tempo il callo all’ingiustizia, ed in effetti credo di essermelo fatto, anche perché ho imparato che le ragioni e i torti,  stano sempre in imprecisati luoghi  lungo la strada che congiunge e divide le parti,  e spesso l’aggettivo “assoluta”  così come l’aggettivo  “certa” non si accordano  per nulla con il sostantivo “verità” .

Poi penso che, a rifletterci bene,  l’ingiustizia, per quanto incerta, ambigua e sfumata,  non c’entra nulla: questa, davvero, è semplice malvagità, e di quella peggiore e più inescusabile, perché non sorretta da altro motivo se non procurare danno ad altri.

Questa volta l’idea mi appare veramente come una lampadina e mi fulmina con una domanda che mi esce dal cuore e che non riesco a trattenere: mi giro verso il “Commissario” e con toco calmo e pacato gli chiedo: “ma lei non si vergogna almeno un po’?”

Alla domanda, dopo un silenzio imbarazzato, segue una discussione tutto sommato banale e scontata, ma soprattutto assolutamente irrilevante con il significato del racconto.

Caro Commissario, in questo immenso universo siamo tutti piccoli, insignificanti uomini, ma se l’insignificanza è forse per tutti, la statura, parlo di quella interiore, è diversa per ognuno di noi: l’essere cosciente di ciò ti alza di qualche centimetro: l’ignorarlo ti rende ancor più di uno spessore così sottile, da essere trasparente.

E in tale tragedia cosmica che travolge l’intera umanità,  pare che il grado non conti.

                                                                                  Disma Vittorio Cerruti.

 

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